Il Mio Amore Unico

« Older   Newer »
  Share  
Mokochan
icon12  CAT_IMG Posted on 3/4/2009, 16:50




Il Mio Amore Unico





Capitolo Uno: Quando Tutto Cambia

Mi trovavo in classe, e il professor Anderson spiegava le leggi della fisica. Fuori la pioggia colpiva con violenza le finestre, manifestandosi in tutta la sua forza. Amavo la pioggia e ancor di più i temporali. Soprattutto se nel mentre ero costretta a seguire le lezioni. Mi bastava voltarmi e la mia attenzione veniva incanalata tutta su quel banale quanto affascinante evento atmosferico. Parigi era una città che proprio non sopportavo. C’era chi la amava poiché era la città dell’amore, ma io non la pensavo allo stesso modo. Troppo semplice apprezzare un luogo simile solo per quei motivi. Poche settimane prima io e mio fratello Sirius ci eravamo trasferiti per motivi di lavoro. Sirius aveva appena finito l’università ed era in prova in un agenzia di pubbliche relazioni, ma dal primo giorno lì non era cambiato nulla. Nemmeno la sua bravura o il fatto che fossimo ricchi aveva influenza. Noi due eravamo orfani, i nostri genitori morirono quando io avevo appena cinque anni. Da sempre mio fratello si era preso cura di me, sacrificando molto di ciò che possedeva. Però cambiare città non era stata una bella cosa, almeno per me. Non conoscevo nessuno, avevo dovuto dire addio a tutte le mie amiche. A quell’aria frizzante e giocosa caratteristica dell’Italia. Le strade storiche di Roma, il Colosseo, la Fontana di Trevi, il Pantheon. La mia passione irrefrenabile per essi, la sensazione che mi davano di antichità, come l’aria stessa. Ricordo la prima volta in cui vidi il Pantheon.
Era imponente ed io mi sentivo così piccola, insignificante in confronto alla sua grandiosità. Trasmetteva qualcosa di diverso da tutte le costruzioni che avevo visitato. Bloccai il respiro, strinsi gli occhi per visualizzarlo meglio, come se fossi miope; volevo vederne la reale bellezza, che ero sicura di non cogliere in qualche modo. Solo da fuori mi metteva in soggezione, inspiegabilmente. La magia scomparve quando fui all’interno: certo, nell’aria aleggiava quel senso di rispetto e grandiosità che lo rendeva unico, ma non era più come prima. Nemmeno il cuore batteva in modo irregolare, come era accaduto qualche attimo addietro. Parigi non aveva quella magia per me e non l’avrebbe mai avuta.


Alla fine dell’ora raccolsi i libri e la borsa, diretta all’aula di inglese. Non salutai i miei compagni di classe, proprio non li degnai di uno sguardo. Due settimane in quella scuola e non mi ero fatta nemmeno un amico? Nessun problema. I miei obbiettivi erano ben diversi. Superare i due anni di scuola che mi rimanevano incolume e frequentare un’università che mi tenesse lontano da Parigi. La scelta era mia, Sirius lo sapeva perfettamente. Ne avevamo discusso tante volte, non arrivando mai a un compromesso: lui voleva che rimanessi con lui, io desideravo rimanere per conto mio e farmi una vita diversa, dove volevo. Aprii il mio armadietto, riponendovi i libri e prendendo gli altri, prima di andare in classe. Mi rimanevano ancora cinque minuti, prima dell’inizio della prossima lezione. Richiusi l’armadietto e mi voltai, ma sbattei quasi subito contro qualcuno, lasciando sfuggire di mano i libri, che caddero a terra con un tonfo sordo. Perfetto. Mi chinati per raccoglierli, mentre la persone con cui mi ero scontrata se ne andò, senza nemmeno provare ad aiutarmi.
Lo fissai con stizza, offesa - Grazie tante!!! -
Il ragazzo non si voltò nemmeno. Imprecai sottovoce e finii di recuperare i libri, per poi alzarmi. Mi ripetevo “Non prendertela” con una certa frequenza, ma la rabbia era salita. Avrebbe potuto almeno aiutarmi, invece di scansarmi e andarsene. Di certo non ero stata io ad andarci a sbattere. Girai i tacchi verso la classe, nervosa. Più tempo passavo in quella scuola, più sentivo montare il disgusto. I francesi erano snob, altro che eleganti o cosa! Quando entrai in classe, sentii gli occhi di tutti puntati addosso, ma non vi feci molto caso, o almeno ci provai. Provai a concentrarmi sulla lezione ma non mi risultò altrettanto facile come distrarsi con la pioggia, purtroppo placata da qualche minuto.
- Signorina De Alisia, saprebbe tradurmi il quinto verso? - il professor Jerome mi richiamò. Sentendomi imbarazzata, osservai il libro di inglese, aperto in una pagina a caso.
- Ehm... - Arrossii con maggior intensità, rendendomi conto di star per fare una brutta figura.
Il professore si spazientì - C’è qualche problema? -
- Non...ho perso il... -
- Professore, posso tradurre io il prossimo verso! - Un ragazzo dai capelli rossi scompigliati alzò la mano, tranquillo. Sospirai; mi aveva salvata.
- Va bene. Signorina De Alisia, stia più attenta -
- Si, professore - Alla svelta cercai la pagina col testo da tradurre, mentre quell’altro ragazzo traduceva. Se non fosse stato per lui avrei ricevuto una nota da portare a casa e Sirius avrebbe avuto da ridire. Si preoccupava molto del mio andamento scolastico, ma non avevo mai preso un voto basso, spinta forse dalla voglia di andarmene. Questo lo sospettava anche lui, probabilmente. Alle volte mi invogliava ad uscire, a svagarmi un po’ con i miei “Amici”. Al termine dell’ora sfrecciai fuori dalla classe il più veloce possibile, contenta che anche quella giornata fosse finita. Almeno quella di scuola. Per fortuna a mio fratello non era in casa, e questo mi dava la libertà di sbrigare le mie faccende per un po’. Dovevo sistemare la casa, concentrarmi sui libri e magari leggere Ragione e Sentimento di Jane Austen. Entrai nel parcheggio in cerca della mia macchina, ma mi accorsi subito, dopo un’accurata ricerca, di aver lasciato le chiavi nell’armadietto. Di bene in meglio. Cominciò anche a piovere. Quel giorno non era quello fortunato, evidentemente. Corsi dentro l’edificio, evitando di finire contro gli studenti che stavano uscendo. Arrivai al mio armadietto senza difficoltà e lo aprii.
Presi le chiavi ma, appena chiusi l’armadietto, qualcuno me le tolse di mano.
- Sai, se non fosse stato per me il Professor Jerome ti avrebbe fatto piangere con le sue grida. Non è una persona che si può considerare “indulgente” - commentò il ragazzo, sorridendo.
Lo guardai con nervosismo, riconoscendolo immediatamente: era colui che aveva fatto la traduzione al posto mio, salvandomi dalla catastrofe. Da quel che ne sapevo si chiamava Apollo Fudo. Non ci eravamo mai parlati, del resto non parlavo con nessuno, e l’avevo sempre trovato un tipo noioso, uno di quei ragazzi tutto ragazze e sport. Il classico figo. O almeno gli altri lo potevano vedere così, ma a me non diceva nulla di ché. Solo l’aspetto fisico mi aveva lasciata sorpresa. Se proprio dovevo ammetterlo, lo trovavo molto bello. Soprattutto gli occhi dorati e la pelle ambrata, denotavano un certo calore, innaturale. Cercai di recuperare le chiavi, ma lui non me le lasciò prendere. Sorrideva divertito.
Sbuffai - Ti costerebbe tanto ridarmele? -
- Bè, te le ridarei se... -
- Se...? -
- Se accettassi di uscire con me -
Rimasi immobile quasi come una statua, nella testa l’eco delle sue parole.
Speravo scherzasse, ma quando studiai attentamente la sua espressione, non vidi traccia di ilarità, se non un sorriso piuttosto serio ed educato. Per quanto poteva.
- Non uscirei con te nemmeno se fossi l’ultimo uomo sulla terra -
Apollo sorrise ancora - Mi aspettavo una risposta del genere. Bè, vorrà dire che mi terrò le chiavi - Se le mise in tasca, arretrando di un passo per schivare la mia mano che, senza esitazioni, mi ero azzardata ad alzare per dargli un pugno dritto sullo stomaco.
- Come ti permetti?! E io come torno a casa? - sbottai, furente.
- A piedi, no? -
- Si da il caso che assieme alle chiavi della macchina ci siano anche quelle
di casa... - borbottai - ...dammi almeno quelle! -
- Mh... -
- Ah, non ci provare! -
Alzò le spalle - Ti basterebbe dirmi “Ok, esco con te” e te le darei -
- Non mi piacciono le tue proposte, sai? -
- Credo di essermene accorto - disse, ilare - Pensavo fossi più dolce -
- Pensavo fossi meno idiota di quanto sembri, ma a quanto pare ci speravo troppo -
- Mi sento un tantino offeso -
- Oh, poverino... - dissi, sarcastica. Non sapevo perché, ma mi stavo divertendo.
Mi lasciai scappare un sorriso fin troppo rivelatore che lui sembrò notare subito.
- Senti...se ti offrissi un gelato...usciamo da qui e andiamo nella mia gelateria preferita...e dopo ti restituisco le chiavi -
- Come faccio con la macchina, scusa? - domandai, arrossendo.
- Contiene un si alla mia proposta, questa domanda? - Mi guardò con attenzione, gli occhi dorati così intensi che quasi m’imbambolai. Qualcosa nel mio cervello, infatti, sembrò scollegarsi. Non era una bella sensazione; sembravo stupida.
- Bè... - balbettai, cercando di non rivelare troppo di ciò che pensavo - ...si e no -
- Lo prendo come un si - Apollo sorrise - Dai, vieni. Alla macchina ci pensiamo dopo. Ci basterà tornare qui e riprenderla -
- Ah - Che bella figura. Lo seguii fuori dalla scuola, mantenendo gli occhi fissi a terra. Avevo paura che mi stesse solo prendendo in giro, che volesse usarmi come rimpiazzo per le altre ragazze che sicuramente aveva scaricato negli ultimi tempi. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Sirius me lo diceva sempre, convinto di questo. In quel modo mi aveva reso una persona molto sospettosa. Arrivammo davanti alla macchina di Apollo, una cabriolet rossa fiammante. Non ero certa che saremmo passati inosservati. Quella macchina era costosissima. La famiglia di Apollo era molto ricca, a quanto pareva. Mi aprì lo sportello del passeggero, gentile. Esitai, poi presi posto, posandomi la borsa sulle ginocchia. Chiuse lo sportello e fece il giro, sedendosi poi accanto a me. Il motore si accese, con un rombo di motore talmente forte che feci fatica a non sussultare. Mentre ci allontanavamo, mi chiesi come avessi fatto a cacciarmi in quella situazione così insolita.


Il Gelato era buono, alla fragola e cioccolato, come piaceva a me, mentre Apollo ne aveva uno alla vaniglia, semplice. Eravamo abbastanza silenziosi. Non mi veniva in mente niente da dire, insomma, non ci conoscevamo per niente. Come potevo trovare un argomento interessante? Stranamente, fu lui il primo a parlare - Come ti trovi qui a Parigi? -
- Così così...mi devo ancora ambientare - feci una smorfia. Mentire non mi piaceva per niente.
- Dalla tua faccia non si direbbe! - rise - Soprattutto per il fatto che non hai amici -
Mi sembrò di sentire un crack nel mio cuore. Era così evidente? Forse si, ma io non ci avevo fatto caso. Per quasi un mese mi ero isolata dagli altri, sembrano forse una specie di associale. In quel momento mi resi pienamente conto che forse non passavo inosservata.
Mi fecero molto male quella parole. Scoprivano quella parte di me che tenevo nascosta, quella parte più fragile che non volevo ammettere di avere. Detestavo sentirmi debole. Mi appoggiai contro un fianco della cabriolet, silenziosa.
- Scusa, ho... -
- Non dire niente. Tanto lo so perfettamente...so cosa pensi di me -
- Ah, si? Dai, cosa penso? - mi sfidò lui, serio.
- Pensi che sono strana, associale. Pensi...che mi piaccia stare da sola, senza parlare con nessuno... -
- Che sciocchezze. Hai toppato su tutti i fronti - m’interruppe Apollo, scocciato.
Lo fissai, senza credere alle sue parole - Non ti sembro strana? -
- Per niente. Trovo naturale che fatichi ad ambientarti. Odi questo posto con tutta te stessa, vorresti andartene, scommetto -
- Mi conosci meglio di quanto non possa sembrare - mormorai, seria.
- Forse... - Mi diede una pacca sulla spalla, indugiandovi per un momento, poi la ritrasse. La conversazione finì com’era iniziata ed io ebbi molto a cui riflettere in quel momento. Il modo di comportarsi di Apollo mi stava stupendo sempre di più, in poche ore era riuscito a farmi cambiare opinione su di lui. Inizialmente, avevo pensato che fosse stupido, per nulla intelligente, o almeno sensibile. Invece sotto quella scorza strafottente, si celava una persona davvero buona. Mi conosceva più di quanto non mi conoscessi io stessa. Dopo quell’uscita, Apollo mi riaccompagnò a scuola e mi restituì le chiavi, paziente. Dopodiché tornai a casa, di fretta. Era la giornata più strana che avessi mai vissuto.


Regolai il timer del forno, sfilandomi i guanti da cucina dalle mani. Preparavo il pollo. Non ero una cuoca provetta, quindi mi limitavo a cuocere la roba surgelata. In passato avevo provato ad ovviare a tutto questo, col risultato finale che mio fratello cominciò a mangiare fuori. Allora capii che forse era meglio fare le cose in modo semplice.
Mi sedetti sul tavolo, immergendomi ancora una volta in Ragione e Sentimento; era un bellissimo libro, mi divertiva davvero molto il modo spensierato di Marianne di vedere l’amore, l’intelligenza appassionata e retta di Elinor, la chiacchierona signora Jennings e il goffo ma buono Edward. Per non parlare del silenzioso Colonnello Brandon, personaggio così simile a me, innamorato dal primo momento di Marianne, ma non ricambiato. Almeno per il momento. Speravo con tutta me stessa che lui riuscisse a colpire il cuore della media delle sorelle Dashwood. Ma avrei dovuto finire di leggere il libro, per poterlo sapere. Rimasi a leggere per quel che mi parvero ore e quasi non mi accorsi del timer che mi avvertiva che il pollo era pronto. Lo tirai fuori proprio mentre la porta d’ingresso veniva aperta. Sirius entrò in cucina, massaggiandosi piano le tempie.
Giornata dura, mi sa.
- Com’è andata? - mi azzardai a chiedere, intuendo già la risposta. Non ci voleva un genio per capire che qualcosa era andato per il verso sbagliato.
Sirius si sedette - Non molto bene: il capo mi ha sgridato un’altra volta... -
- Quel tipo è insopportabile - Non avevo mai avuto l’occasione di incontrarlo, ma da come ne parlava mio fratello, sembrava un tipo tosto.
- Silvia - Ecco lo sguardo di rimprovero. Si era esercitato molto in quegli anni, rendendolo micidiale. Temevo sempre quell’atto quasi silenzioso.
- Sei tu che ne parli sempre male! Per una volta che lo faccio anch’io! - mi difesi.
- Non è educato, lo sai -
- E’ meno educato non dire la verità -
- Potresti cercare di dirla...alleggerendo le parole -
Inarcai un sopracciglio - Più leggero di così? - “Insopportabile” non era una gran brutta parola. Semmai lo era “Stronzo”, ma mi ero risparmiata quel termine, altrimenti si sarebbe seriamente arrabbiato con me.
- Ok, forse sto esagerando anch’io. Però trovo ingiusto che tu dica certe cose sul conto di qualcuno che nemmeno conosci - Cercò di sorridere, ma con scarsi risultati.
- Messaggio ricevuto, fratello - Poco dopo mangiammo e mi chiese com’era andata la giornata. Gli raccontai un po’ di tutto, per lo più bugie su amici che non avevo e nascosi la mia uscita con Apollo. M’imbarazzava ammettere di esserci uscita. Un po’ perché Sirius mi considerava ancora una bambina e si sarebbe scandalizzato se avessi inserito “Ragazzo” e “Uscita” nella stessa frase. In più preferivo tenermi certe cose per me. La mia situazione mi ricordava quella di Bella in “Twilight”. Per un po’ aveva nascosto a suo padre Charlie che usciva con Edward Cullen (Edward... :wub: nd Moko), ma l’aveva fatto per il suo bene. Edward era un vampiro, non un ragazzo, e faticava a usare quest’ultimo termine su Edward, poiché le sembrava inadatto. Soffermai il mio pensiero su un dettaglio: Apollo era fisicamente identico a Edward. Stessi capelli rossi, occhi ambrati, fisico atletico. L’unica incongruenza stava nel colore della pelle; bianca quella del vampiro, ambrata quella del ragazzo. Salii in camera mia dopo aver dato la buonanotte a Sirius. Appena entrai, mi resi conto che c’era qualcosa di diverso; subito intravidi la finestra spalancata, le tende agitate dal vento forte - Ma cosa...? - Andai a chiuderla, rabbrividendo per il freddo. Accesi il riscaldamento, sperando che la stanza recuperasse un pò di calore velocemente. Studiai con maggior cura tutto e finalmente notai qualcosa sul cuscino. Mi misi a sedere sul letto, afferrando il foglietto che vi era appoggiato; la scrittura era chiaramente maschile.

Mi è piaciuto parlare con te, Silvia. Probabilmente, mentre leggi questo biglietto
imprechi sonoramente, capendo che sono sgattaiolato in camera tua di nascosto xDDD
Non importa. Volevo solo dirti che se vuoi, se tu vuoi, vorrei diventare tuo amico.
E non cerco la tua amicizia per compassione o altro: tu mi interessi veramente, come persona.
Soprattutto: non penso che tu sia associale. Di questo devi starne certa.
Spero di rivederti domani.

Buonanotte, ma petite ;)

Apollo.


Rilessi quel biglietto altre cinque volte, provando a convincermi che fosse un sogno, che Apollo non fosse davvero entrato in camera mia e avesse lasciato un biglietto per me. Arrabbiata - come aveva detto lui - ero arrabbiata, ma durò solo un istante, perchè i miei sentimenti cambiarono con una velocità che mi colpì. Provavo solo calore. Affetto. Affetto per un ragazzo che non conoscevo affatto, per un ragazzo che mi aveva offerto un gelato, smentendo all’istante tutto ciò che avevo detto su di me, dandomi fiducia, amicizia. Quella stessa amicizia che volevo evitare ad ogni costo e che lui mi aveva offerto - o chiesto - senza badare alla mia opinione. Perchè sapeva che infondo la desideravo più di ogni altra cosa. Non potei fare a meno di sorridere, ripensando a quella giornata così strana, e mi domandai se anche domani sarebbe accaduta la stessa cosa. Ci speravo.




() Baron


Cosa ve ne pare? a me fa schifo e il mio assistente Baron la pensa come me (...io lo dico da anni...) :cry: Cattivo...e io che ti adoro... :( (Purtroppo... -_- ) °__° Bastardo!!!!!!!! ( :sonno: ) O_=" --> Tick convulsivo all'occhio sinistro/ Ti odio!! (Ricambio! :rolleyes: )
Va bè, se siete arrivati a questo punto e state ancora leggendo vuol dire che siete ancora vivi ^^ Se no pace :sisi: :ahahaha: (Come faccio a lavorare ancora con te... -_- ) non lo so, forse mi ami troppo!!! XD
Bè, ci vediamo al secondo capitolo! :ahahaha:











 
Top
Soddo
CAT_IMG Posted on 7/4/2009, 21:10




ho leggiucchiato, ora leggo bene.
quel che ho letto m'è piaciuto.


:D
 
Top
1 replies since 3/4/2009, 16:50   44 views
  Share